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boeing-787Lo scenario dei voli e del viaggio aereo sono notevolmente cambiati negli ultimi anni, grazie alla nascita di tante compagnie low cost che attualmente si propongono come le più gettonate dai viaggiatori internazionali. Ma il successo dei voli economici non è l’unica causa che sembra avere contribuito a segnare la fine di un’era, quella dei Jumbo, che pare essere tramontata a favore di velivoli più snelli e sicuri. Il risultato è un licenziamento che ha interessato 4 mila lavoratori del gruppo Boeing. Il colosso aerospaziale americano non sembra però essere stata scalfito da questa imponente perdita di forza lavoro, considerando che gli operatori del gruppo sono in totale 160mila.

La situazione economica del gruppo chiede quindi di essere analizzata con attenzione, perché si tratta dello specchio del presente e anche di una condizione che può presentare notevoli ripercussioni sul futuro. La società sta infatti lamentando una notevole riduzione dei flussi delle catene di montaggio per quanto riguarda gli aerei destinati ai passeggeri e la prima via di uscita dalla crisi è stata la riduzione del personale che operava nel comparto commerciale.

I modelli storici come il 777 o il 747, ovvero l’iconico Jumbo, sembrano infatti destinati a vivere un finale di carriera alquanto malinconico, perché dal prossimo anno la produzione di questi velivoli sarà ridotta da 8.3 aerei al mese a 7, mentre per quanto riguarda i jumbo, caleranno dai classici 1.3 al mese a 6 in totale per ogni anno. Si tratta di una drastica diminuzione, compensata però dalla crescita della produzione dei velivoli chiamati a coprire rotte di medio breve raggio, quali il 737. Questo gettonato modello passerà infatti da 42 modelli attuali prodotti in un mese a 47, per giungere ad una produzione di 52 esemplari mensili nel corso del 2017.

Il taglio della produzione dei veicoli ‘ammiraglia’ del gruppo, ha quindi indotto Boeing ad annunciare il licenziamento di 4mila unità lavorative, molte delle quali sono quadri e dirigenti. La manovra verrà attuata con un sistema di prepensionamenti, incentivi e blocco del turn over. L’azienda ha dichiarato che solo nell’estremo caso di un ulteriore blocco o diminuzione della produzione sarà chiamata a procedere con tagli di personale dal carattere più incisivo. Oltre al taglio del lavoro, il gruppo si è inoltre impegnato a rivedere completamente la sua catena di costi e ad affrontare un piano stimato sul lungo termine, che possa evitare l’ulteriore licenziamento della sua forza lavoro e dare vita ad un virtuoso processo di rinnovo aziendale.

La battaglia del Jobs Act continua ad infuriare, ma in questi ultimi giorni stiamo assistendo a provvedimenti dei quali non sappiamo se ritenerci soddisfatti o meno. E’ tutt’ora in esecuzione il superamento del criticatissimo articolo 18, non ammettendo comunque la possibilità di licenziamenti ingiustificati. Alla fin fine come già detto alla vigilia di natale “Sarà più facile assumere e non licenziare”, a parole dette da Renzi.Peccato però che un colpo di scure tutt’altro che leggero viene scagliato anche contro le partite Iva, rincarando il contributo di molti nuovi professionisti autonomi, a partire dalle fasce minime reddituali. Sembra proprio che lo “scarico di responsabilità” della crisi sia ormai una sorta di “entità subalterna” alle vie politiche, e passi per percorsi traversi, quasi sfuggenti agli occhi più distratti. Come affermare che non vi sia ulteriore inasprimento fiscale se è obiettivamente quello che osserviamo?

Ci sono anche ulteriori rassicurazioni, precisando che il nuovo sistema sarà applicato solo ai neo-assunti e che i vecchi contratti sono ancora validi per la vecchia legge. Niente retroattività, quindi ma ciò avrebbe dovuto essere un diritto acquisito, dato che tutte quelle leggi che hanno delle conseguenze economiche sui cittadini (anche se non tributarie, in senso stretto) non dovrebbero essere retroattive e valere solo a partire dalla loro introduzione. Ma siamo davvero ad un punto nel quale un sistema “più rapido e flessibile” per le assunzioni sia un vantaggio, considerando la confusione burocratica che si sta creando fra vecchi contratti lavorativi e quelli nuovi?

Amministrazione straordinaria per l’IlVA di Taranto, insieme agli ultimi ritocchi a quelle che sono anche le ristrutturazioni industriali per le grandi imprese. Perché almeno a ragion veduta per loro, i nostri politici, bisognerebbe iniziare sempre a guardare alle grandi aziende per risolvere il problema dei piccoli italiani che cercano lavoro! Nonostante nuove acquisizioni dall’estero delle grandi aziende italiane che si stanno letteralmente svendendo (l’ultima riguarda proprio Alitalia che in questi giorni ha concluso l’accordo con la compagnia araba che ne ha rilevato quasi il 50%), quello che si starebbe cercando di fare è “mantenere in Italia un settore strategico per la produzione dell’acciaio e derivati” (figuriamoci!) ed in effetti Taranto è uno dei posti dove viene ricavato l’acciaio migliore.Neanche più si discute del problema della svendita del settore delle Telecomunicazioni alla Spagna, o in ogni caso all’estero, per un “pugno di mosche”.

Le anticipazioni su alcuni dettagli si sono avverati, almeno in revisione avanzata. In aziende con oltre 15 dipendenti è stata introdotta la retribuzione nei termini dai 3 ai 6 mesi per licenziamenti fatti in modo “precoce” così da evitare che ci siano continui assunzioni e licenziamenti per un motivo o per un altro. Per ogni anno di lavoro il beneficio aumenterà esponenzialmente fino ad un massimo di 24 mesi retribuiti. Almeno un minimo di giustizia in questa legge sembra farsi chiara. Ed a quanto sembra, l’ultima novità è che non vi potrà essere il super indennizzo, di cui tanto si parlava, a sostituzione dell’obbligo di reintegro salvato per i licenziamenti ingiustificati.

Resteremo ad osservare gli sviluppi di questo complicatissimo e oltremodo criticato Jobs Act.

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Brutte notizie per i lavoratori di Alitalia: dal 31 ottobre prossimo, infatti, partiranno le lettere di licenziamento per i 994 dipendenti Alitalia che non avevano aderito alla mobilità su base volontaria. Per la maggior parte, i licenziati fanno parte del personale di terra. L’accordo è stato firmato proprio questa notte dall’azienda e dai sindacati di categoria Fit-Cisl Uiltrasporti e Ugl Trasporto aereo ma non da Filt-Cgil. Sono già 700, al momento, i lavoratori che hanno lasciato l’azienda, fra coloro che sono andati in mobilità volontaria e quelli che avevano raggiunto ormai i requisiti per andare in pensione.

Nessuna novità vera e propria: il taglio del personale era già fra le condizioni poste da Etihad per entrare nel capitale dell’Alitalia: in questa nuova tornata, in particolare, perdono il posto 879 dipendenti del personale di terra, 61 piloti e 54 assistenti di volo. Per quanto riguarda Meridiana, invece, tutto è stato rimandato a lunedì alle 10.30 al ministero del Lavoro. Questa mattina, durante una riunione, i sindacati hanno chiesto maggiori garanzie rispetto agli ammortizzatori proposti dal governo. Intanto, il ministro Giuliano Poletti si è riservato un approfondimento.

Ecco come spiega la Filt la sua non adesione all’accordo di questa notte per quanto riguarda Alitalia: “Coerentemente con la non sottoscrizione dell’accordo quadro del 12 luglio scorso al Ministero dei Trasporti, abbiamo ritenuto di non sottoscrivere questo accordo. Permangono tutte le perplessità che avevamo espresso in merito ai criteri di individuazione del personale da porre in mobilità e all’incertezza sulla ricollocazione del personale presso le società terze che a tutt’oggi ancora non risultano definitivamente individuate”. E poi Filt conclude dicendo che “la nostra azione proseguirà perché l’avvio della nuova Alitalia sia in grado di ridare occupazione e speranza ai quasi mille licenziati”. Intanto Alitalia ha previsto la possibilità di aderire alla mobilità, con un incentivo, il cui valore ancora non è stato specificato, cosa che contribuirà a ridurre il numero dei licenziamenti.