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Caso Renault: un nuovo dieselgate?

meganesportourautocarroNei giorni scorsi gli agenti di polizia della sezione anti frode francese hanno dato vita ad una serie di accurate perquisizioni in molti degli impianti produttivi Renault dislocati nel paese. L’ipotesi è piuttosto chiara, perché al vaglio degli investigatori c’è la possibilità che i motori diesel realizzati dalla casa automobilistica francese siano stati equipaggiati con software preposti ad eludere i controlli sulle emissioni. Si tratterebbe quindi di un caso molto simile, se non analogo, a quello registrato nel corso del 2015 da Volkswagen, il cosiddetto dieselgate che ha scosso il mondo dei motori e anche dell’economia internazionale.

Secondo le notizie riportate dai quotidiani francesi, gli agenti del nucleo anti truffa avrebbero sequestrato numerosi PC dagli uffici della Renault. In seguito all’esplosione del caso dieselgate, l’azienda francese aveva dichiarato di avere immesso nel bilancio una voce di 50milioni di euro per poter mettere in linea i livelli di emissione delle sue vetture, ma stando ai controlli effettuati e alle ricerche in corso la manovra potrebbe non avere avuto luogo, portando la casa automobilistica a registrare irregolarità su questo fronte.

Nel frattempo il titolo Renault ha perso il 10% in borsa in seguito alla diffusione della notizia e il settore automobilistico è in uno stato di decisa tensione. Si tratta di un periodo buio per le auto in Europa e in tutto il mondo, anche per l’italiana FCA, che attualmente si trova in difficoltà sulle quotazioni della borsa milanese, a causa dell’accusa di avere falsificato le vendite negli Stati Uniti e al crollo delle stesse in terra di Russia.

Per quanto riguarda il caso Renault, molti sono stati gli stabilimenti perquisiti in questi giorni dalle forze dell’ordine, fra i quali il centro ingegneristico di Lardy a sud di Parigi e l’importante tecnocentro di Guyancourt. La casa madre ha confermato che le perquisizioni hanno avuto luogo, ma ha dichiarato di aver rispettato tutti i test che erano stati richiesti dal ministro dell’ambiente Ségolène Royal, i quali non avevano evidenziato frodi di sorta nei loro risultati.