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Caso Scazzi: Misseri continua ad autoaccusarsi, ma parla al plurale

Michele Misseri continua ad accusarsi dell’omicidio della nipote ed a cadere in contraddizione rispetto a quanto è stato verbalizzato negli interrogatori. Sentito oggi durante il processo per l’omicidio della piccola Sarah Scazzi, Misseri ripercorre per l’ennesima volta cosa avvenne quel maledetto pomeriggio del 26 agosto del 2010 nel garage di casa sua ad Avetrana, spiegando cosa fece nella zona del pozzo delle campagne di contrada Mosca, dove fu trovato il corpo della ragazza, prende persino una corda dalla tasca della giacca per mimare lo strangolamento della ragazzina, ma viene subito stoppato dal presidente della corte d’assise Rina Trunfio, che lo invita a riporre la corda e a rispondere alle domande perché “non può fare dichiarazioni spontanee”. Ma ancora una volta Misseri commette una delle sue grossolane  gaffe quando afferma: “Ho preso i vestiti di Sarah dopo aver gettato il cadavere nel pozzo quando ce ne siamo andati”, Misseri passa al plurale facendo ipotizzare che sia stato aiutato da un complice.

 

La sua ultima versione si aggiunge alle tante fornite in questi ultimi due anni: Michele Misseri si è da prima accusato dell’omicidio della nipote durante gli interrogatori successivi al 26 agosto, per poi ritrattare le sue dichiarazioni ed accusare allo stesso tempo la figlia Sabrina, ed ora ritorna alla sua posizione iniziale, autoaccusandosi nuovamente. Davanti alla corte d’assise ha dichiarato: “Non volete la verità, la verità è quella che so io, io l’ho ammazzata una volta, voi chissà quante volte l’avete ammazzata”. Misseri ha infine ribadito che sono stati il suo ex avvocato Daniele Galoppa e l’ex consulente Roberta Bruzzone a dirgli che doveva accusare Sabrina dell’omicidio e negare ogni sua responsabilità diretta.