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Ebola

ebola sesso contagioMentre sono decine e decine le persone messe «sotto stretto controllo» perché hanno avuti contatti con il paziente zero morto di Ebola a Dallas, nuovi inquietanti dettagli si delineano sulla malattia in questione. Pare infatti che ci siano delle novità su come si trasmette l’Ebola: novità che troviamo in un rapporto del Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC).

Nel rapporto si legge che il «virus di Ebola vitale è stato isolato nello sperma umano fino a 7 settimane dopo la guarigione». Ovvero, è bene astenersi dai rapporti sessuali per tre mesi dopo la guarigione, dato che il virus riesce a sopravvivere nello sperma per molto tempo dopo la guarigione del paziente. Sembra anche che dei serbatoi del virus Ebola siano stati individuati nel latte materno, persino dopo che il virus era ormai scomparso dal sangue del paziente.

Per questi motivi «il rischio di trasmissione del virus Ebola andrebbe considerato in relazione alle donazioni di cellule riproduttive», ovvero per chi sceglie di effettuare una fecondazione omologa o eterologa. Sono molti i rischi, ma sembra che il fatto che il virus possa persistere nel corpo umano anche dopo la guarigione non permette di stabilire un tempo di differimento preciso per la donazione. Si parla di 12 mesi, una cautela forse eccessiva, forse no. E’ possibile anche il contagio da sangue e organi da chi ha contratto il virus Ebola, prima ancora che il virus si manifesti. Donazione vietata, pertanto, per chi è stato nei Paesi africani a rischio negli ultimi 60 giorni.

Ancora grave, intanto, l’infermiera di Madrid, sebbene Fernando Rodriguez Artalejo, membro del comitato medico che la sta curando, ha assicurato che «in questo momento non c’è nessuna persona in Spagna con capacità di trasmettere il virus dell’ebola, oltre alla paziente». Insomma, nessun problema per la salute pubblica in Spagna. Nonostante ciò, il panico sta lentamente dilagando in tutta Europa.

Umberto IRoma, è allarme Ebola, per un caso sospetto segnalato questa mattina. Un uomo di origini somale, residente in Italia da due anni, era nell’Ufficio immigrazione della Questura di Roma. L’uomo ha accusato un malore e le sue condizioni sono peggiorate nel giro di pochi minuti. Immediato il ricorso al 118.

Il cittadino africano è stato condotto all’Umberto I di Roma, per tutti gli accertamenti del caso. In prima analisi, l’uomo ha registrato il sintomo della febbre, poi ha iniziato a perdere sangue dal naso. L’uomo si trovava in Questura per rinnovare il soggiorno di protezione internazionale e, secondo quanto dichiarato dal Segretario Generale del Sindacato, Flavio Tuzi: «perdeva sangue dal naso e le sue condizioni fisiche sono peggiorate in pochi minuti». Intanto negli Usa, si registra il primo contagio, quello dell’infermiera che ha curato Duncan, il primo uomo denominato caso zero che ha contratto l’Ebola in Africa, poi è tornato a casa negli Usa, dove è deceduto la settimana scorsa.

-Se ieri ancora c’era qualche speranza per l’infermiera di Madrid colpita dall’ebola, oggi le sue condizioni sono date in peggioramento. E sono altri i casi sospetti in tutto il mondo, perfino in Australia. Un’epidemia che si sta lentamente diffondendo in tutto il mondo, e sta diventando pandemia. Il terrore intanto dilaga, e a New York gli addetti alle pulizie degli aeroporti hanno persino incrociato le braccia per paura del virus.

In Gran Bretagna sono stati introdotti controlli rafforzati dei viaggiatori provenienti da Liberia, Sierra Leone e Guinea in aeroporto, e anche in alcune stazioni ferroviarie. Pare che in Macedonia sia deceduto un cittadino britannico sospettato di aver contratto l’Ebola, ma si devono attendere analisi più certe in merito, probabilmente dopo l’autopsia.

Casi di Ebola, o almeno sospetti per ora, sono stati registrati anche in Francia, dove un edificio dell’assistenza sociale a Cergy-Pontoise è stato completamente isolato, dopo che una persona ha mostrato sintomi simili a quelli di chi ha contratto Ebola.

In Italia è in osservazione un medico di Emergency rientrato dalla Sierra Leone; si parla solo di precauzioni, però, per il momento. E una voce autorevole come quella di Thomas Frieden, direttore dei Centri americani per il Controllo e la Prevenzione della Malattia (Cdc), ci riporta che “in trent’anni di lavoro nella sanità pubblica, l’unica situazione simile a questa è stata quella con l’Aids“. Infatti il ritmo di diffusione della malattia è simile a quello della fase iniziale dell’AIDS. E per ora, non c’è nessuna cura. Molti centri internazionali si stanno adoperando per trovare un vaccino, ma ad oggi nulla ci difende da questo terribile virus.

Tornando in Spagna, emergono altri dati inquietanti sulle misure di sicurezza piuttosto lasse. Ad esempio, pare che le maniche della tuta protettiva fossero troppo corte, l’ambulanza con cui ha viaggiato Teresa non aveva strumenti necessari per il contenimento del virus, e dunque, potenzialmente, altre persone potrebbero essere state infettate.

ebola madridSi chiama Maria Teresa Romero il primo caso di contagio contratto in Europa di Ebola. Si tratta di un’infermiera, che racconta di essersi ammalata dopo aver sfiorato per un attimo il viso con un guanto. Si era tolta la tuta isolante mentre assisteva il missionario Manuel Garcia Viejo, morto il 26 settembre.

L’ebola è ormai arrivata in Europa, alle porte di casa, inutile nascondercelo. L’infermiera di 44 anni ha avuto due contatti con il missionario poi deceduto: uno per cambiargli il pannolone e il secondo quando era già deceduto. La donna spera di guarire da una malattia che in gran parte del mondo si considera senza speranza. E intanto crescono le polemiche sul cane della donna. Sebbene lei e suo marito siano in isolamento, infatti, è possibile che il cane sia venuto a contatto con il virus e che lo conservi in modo latente, senza mostrare sintomi. Non esistono studi in merito al contagio sui cani, né sappiamo per quanto tempo il virus potrebbe restare ‘in incubazione’ nel corpo dell’animale.

Non è chiaro se anche i cani possono ammalarsi di ebola. Il dottor Peter Cowen, veterinario alla North Carolina State University, parla della soppressione di Excalibur, il cane dell’infermiera, come di una «reazione eccessiva». «Penso che sia davvero spiacevole che stiano pensando di sopprimere quel cane, dovrebbero invece studiarlo. Non è mai stato documentata la diffusione dell’Ebola tramite i cani».

Intanto, la Commissione Europea ha chiesto chiarimenti alla Spagna in merito al primo caso di contagio in Europa: bisogna infatti appurare se ci sono state falle nel sistema sanitario nazionale spagnolo. Intanto sono sotto osservazione altre persone, sospettate di aver contratto anche loro il virus. Sono ricoverate quattro persone in tutto: l’infermiera e suo marito; un’altra infermiera che al momento non ha la febbre; un turista di origini nigeriane, passeggero di un volo internazionale.

ebola vaccino italianoDopo l’arrivo dell’ebola in America, in Canada e forse anche in Europa, si fa sempre più pressante la necessità di un vaccino che possa frenare il virus e che protegga milioni di persone da questa minaccia mortale. Ed è notizia di oggi che circa 10 mila dosi del vaccino contro l’Ebola creato proprio in Italia, che al momento sembra l’unico disponibile, saranno consegnate entro dicembre all’Organizzazione mondiale per la sanità (OMS).

Al momento ci sono trattative in corso tra l’OMS e la multinazionale Gsk – proprietaria dell’italiana Okairos che ha appunto approntato il brevetto del vaccino – per la fornitura di un milione di dosi nel 2015. A dare l’annuncio è Piero Di Lorenzo, presidente della Irbm di Pomezia, dove sarà prodotto il vaccino in questione. E’ infatti già in corso la sperimentazione su volontari umani, un passo importantissimo per rendersi conto dell’efficacia e della sicurezza del vaccino.

L’idea del vaccino la si può attribuire a Riccardo Cortese, biologo molecolare, che fondò Okairos con l’idea di sviluppare vaccini non da frammenti ma dall’intero virus, ‘inserito’ in un adenovirus. La sperimentazione con l’Ebola inizio già sette anni fa, prima dell’inizio della psicosi collettiva, perché era considerato già all’epoca il virus più ostico da combattere. Queste ricerche oggi potrebbero tornare molto utili a tutto il Pianeta, visto e considerato che ormai il virus si è già diffuso nel continente americano, anche a causa di un errore umano. Infatti un passeggero in arrivo dalla Liberia atterrato a Dallas il 20 settembre, dopo essersi sentito male ed essersi rivolto al Texas Health Presbyterian Hospital, è stato rimandato a casa perché i medici non hanno riconosciuto i sintomi del terribile virus. Così il paziente zero degli USA ha fatto una vita normale, a contatto con moltissime altre persone, per circa cinque giorni. Ora a Dallas si vive un incubo: i parenti del paziente zero vivono da giorni in isolamento totale.

CAOS-LIBIA-EBOLA-672x350Intervista rilasciata a La Stampa da Carlo Biffani a proposito della grave situazione in Libia che potrebbe avere conseguenze catastrofiche per l’Italia. Biffani è un ex ufficiale della Brigata Paracadutisti, esperto di operazioni di forze speciali, security e intelligence privata, attualmente direttore generale di Security Consulting Group, azienda leader della sicurezza privata, nonché esperto di questioni libiche. L’Italia non si è mai trovata così vicina al “centro della criticità”, ha dichiarato l’esperto, che poi ha lanciato l’allarme sui rischi derivanti dall’immigrazione fuori controllo come Ebola e terrorismo islamico

Libia di nuovo nel caso, un Paese dannato?

«La situazione in Libia è davvero drammatica, e mai sino ad ora, il nostro Paese si era trovato così vicino al “centro della criticità”. Il rischio che corriamo è altissimo sotto diversi profili. Quello dell’approvvigionamento energetico. Quello relativo alla possibilità che elementi del Jihad si infiltrino nel nostro Paese per portare lo scontro con l’occidente ad un livello ancora più alto e per dimostrare al radicalismo islamico mondiale che sono in grado di colpire e “ingaggiare il nemico” direttamente nel cuore della cristianità. Quello che soggetti contaminati da virus di Ebola entrino nel nostro Paese contagiando con una malattia che è impossibile da sconfiggere con i farmaci e della quale si sono ammalati già più di mille soggetti».

Cosa alimenta il caos libico?

«Per quanto riguarda la questione interna, la Libia, altro marchiano errore commesso dalla cosiddetta Coalizione quando la medesima decise di destituire con la forza il Colonnello, non è in grado di uscire da sola da questa tragedia ed anzi, ogni giorno che passa è sempre più vicina al baratro che la farebbe precipitare verso scenari irrecuperabili. Ci rendiamo conto del fatto che per la prima volta, due settimane fa, carri armati e pezzi di artiglieria si sono spostati da Misurata a Tripoli per andare a combattere la battaglia dell’aeroporto della capitale? Questo non è più il susseguirsi di scaramucce combattute a suon di Tecnica e di calibro .30. Qui stiamo assistendo, inermi per altro, ad una guerra fra eserciti. Da un lato il movimento radicale islamico con le sue controllate regionali e nazionali, unito in un abbraccio grottesco ma letale con esponenti del mondo del business libico che si sono visti tagliati fuori dai giri che contano dopo la caduta del governo Gheddafi e dall’altra quel che resta di un esercito schierato sul fronte opposto ai fratelli mussulmani ed ai gruppi islamisti. Tutti sembrano agire motivati dall’unico convincimento del “tanto peggio, tanto meglio” e non si capisce come si possa evitare che il conflitto si estenda a tutto il paese, rendendo impossibile l’esportazione di quel petrolio che per noi è di importanza strategica».

Quali sono i rischi più imminenti?

«Il rischio della possibile infiltrazione di veterani, ci riguarda poi direttamente. Chi ci può garantire che non siano giunti qui da noi, fra i centomila disperati che sono arrivati solo dall’inizio dell’anno, reduci delle battaglie siriane ed egiziane, pronti a fare proselitismo ed a riversare su nuovi combattenti le competenze acquisite in questi anni di guerra? Personalmente, sono piuttosto dubbioso del fatto che si riesca a capire chi davvero stia arrivando, visto che troppo spesso non si riesce neppure a tenerli in un centro di accoglienza per il tempo necessario ad identificarli. Di questa nostra incapacità di controllo e della latitanza vergognosa da parte dei nostri partner europei sul tema del contenimento alla immigrazione clandestina, temo che presto, potremmo essere chiamati a pagare conseguenze drammatiche».

Una nuova azione internazionale, magari più defilata, sarebbe utile?

«Si sente parlare sempre più frequentemente e da più parti riguardo alla necessità di una azione militare a sostegno del governo libico, da promuoversi unilateralmente da parte dell’Italia. Chi ne parla, probabilmente non si rende conto del fatto che non vi è la volontà politica di andare a fare la guerra, perché di questo si tratterebbe, ai gruppi radicali islamici, che non vi sono soldi a sufficienza per mettere in piedi una compagine militare capace di spostare gli equilibri e di dare un contributo sostanziale e non considera che un’azione militare di questo tipo, comporterebbe la possibilità di mettere in conto perdite ingenti fra le nostre fila.»

L’Italia è anche il Paese più esposto in termini di migranti…

«Per muovere in questa direzione ed attrezzarci a difendere i nostri interessi regionali, ci sarebbe bisogno, come alcuni esperti sottolineano da giorni, di riconvertire a scopi bellici la missione Mare Nostrum, di schierare unità da combattimento sul terreno, di lanciare sul campo le nostre aliquote di forze Speciali e di far lavorare in attacco la nostra aviazione militare. Le forze da schierare ci sarebbero, visto che la Brigata Paracadutisti Folgore è stata recentemente esclusa dalla rotazione di turno di impiego in Afghanistan, proprio per renderla disponibile rispetto ad esigenze nello scacchiere mediterraneo, ma l’impiego di soldati in guerra comporta rischi come la morte, che preoccupano i decisori politici molto spaventati dalla impopolarità che ne consegue. Mai come ora, questi passaggi sarebbero giustificati dall’Interesse Superiore, ovvero dalla necessità di riportare ad un livello di gestibilità una crisi che ci minaccia direttamente, ma allo stesso modo, mai come ora siamo apparsi impacciati in termini di difesa dei nostri interessi in ambito internazionale. Mai come ora ci si è preoccupati di aspetti di politica internazionale che poco o pochissimo hanno a che vedere con gli interessi del paese e con il riscontro diretto che i loro effetti avranno sulle famiglie italiane già a partire dal prossimo inverno».

Parlava di rischio Ebola attraverso i canali libici…

«Riguardo ad Ebola, vorrei solo capire come si pensa di fare in modo di controllare la possibile diffusione del virus sul nostro territorio, quando vi sono migliaia di profughi che sbarcano settimanalmente sulle nostre coste e vorrei anche capire come si pensa di valutare ed arginare il possibile ingresso di soggetti contagiati, a fronte della necessità di confrontarsi con un agente patogeno letale che ha tempi di incubazione asintomatica fino a 21 giorni. I clandestini che arrivano sul nostro territorio, dopo 21 giorni, sono nella maggioranza dei casi, già fuggiti dai centri di accoglienza ed in giro per il nostro paese. Se non si riesce a controllare il diffondersi della scabbia ed il ripresentarsi di una malattia come la tubercolosi, cosa possiamo e dobbiamo aspettarci riguardo ad una malattia come Ebola? Capisce l’Europa che il rischio è tanto italiano quanto tedesco o norvegese?»

ebola-afp-gettySecondo gli ultimi dati diffusi dall’Oms da gennaio la malattia ha colpito 759 persone provocando la morte di 467 persone nei tre paesi. Un vertice di emergenza è stato organizzato dall’Oms per stabilire un protocollo comune in tutta l’area. L’Organizzazione mondiale della sanità ha deciso di aprire un centro di coordinamento in Guinea per gestire l’emergenza e ha mandato nella regione circa 150 operatori sanitari per contenere la malattia. Ma, secondo l’organizzazione, è necessario un impegno forte da parte delle istituzioni locali.

Guinea, Sierra Leone e Liberia sono al centro dell’epidemia causata dal virus Ebola. In Guinea da marzo ci sono stati 413 casi e 303 morti. In Sierra Leone 239 casi e 99 morti. In Liberia 107 casi e 65 morti.

La portata attuale dell’epidemia non ha precedenti in termini di distribuzione geografica, persone colpite e decessi. Il virus si manifesta con febbre alta, diarrea, vomito, affaticamento e talvolta emorragie: con un tasso di mortalità del 90 per cento è uno dei più contagiosi e letali per l’essere umano, dato che non sono stati ancora trovati né vaccini, né cure.

Il periodo di incubazione del virus – che varia da due giorni a tre settimane – complica la situazione, rendendo impossibile individuare i nuovi casi quando i sintomi non si sono ancora manifestati. L’infezione si trasmette tra gli esseri umani al contatto con i fluidi corporei, come sangue o secrezioni, anche nel caso di persone defunte.

Secondo quanto riferito dall’Oms,  l’allarme è serio: il nuovo ceppo del virus, infatti, sembra essere il più cattivo degli ultimi anni, tanto da portare la mortalità da sette a nove casi su dieci.

“Abbiamo già avuto a che fare con epidemie di Ebola e siamo stati in grado di fermarle. Questa è una sfida maggiore perché interessa tre paesi e ci sono dei piccoli focolai diffusi. Ma i principi sono gli stessi. Possiamo fermare l’epidemia di Ebola, ma devono essere osservate cinque misure fondamentali”. Le regole da osservare sono state elencate durante la riunione dei ministri della Salute di 11 paesi africani durante un meeting di due giorni ad Accra, in Ghana. Tra le misure, una serie di raccomandazioni ai paesi interessati e la costituzione di un fondo d’urgenza da 7 milioni di euro.