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Il muro di Donald Trump

Il muro di Trump? Una tassa sui prodotti importati del 20% dal Messico. È così che a detta del presidente Donald Trump si intende finanziare la messa in opera del muro lungo tutto il confine meridionale degli Stati Uniti d’America. Sicuramente una delle più discusse promesse della sua campagna elettorale. Una promessa che potrebbe avere dei riscontri negativi anche dal lato americano, guardando i rapporti commerciali tra i due Paesi, dovendo capire quali sarebbero le conseguenze e come inciderebbe sulle importazioni e sui consumatori. Fatto sta che in un solo anno questa imposta garantirebbe i mezzi necessari a realizzare questa colossale opera.

Intanto, gli Stati uniti importano molto più di quanto stiano esportando e quindi la bilancia commerciale degli Usa con il Messico al momento è negativa. Secondo gli ultimi dati dello United States Census Bureau, nel 2016 gli Stati Uniti hanno acquistato dal Messico e quindi dal tanto citato confine meridionale, merci per più di 270 miliardi di dollari. E di merci vendute ne ha per poco meno di 212 miliardi, con un saldo non poco significativo e negativo di poco inferiore ai 59 miliardi. Questo oltre a colpire l’economia Americana, sta influendo sull’andamento del dollaro, che dopo una scalata durante il periodo di post elezioni, ora ha subito un netto rallentamento se non uno stop. Sicuramente è un momento ideale per investire nella moneta americana, con maggiori dettagli ed un analisi approfondita su come investire in dollari, si potranno avere risultati nel breve o medio periodo.

Tornando alle vicende americane, pochi giorni fa, il 26 gennaio, un membro portavoce del presidente Trump ha dichiarato che i fondi per la costruzione del muro arriveranno tutti da una tassa del 20% sulle merci importate dal Messico. Ma quanto costa questo muro? In sede di campagna elettorale, Trump ha parlato di una somma tra i 5 ed i 12 miliardi di dollari. Un importo che a quanto detto più volte dallo staff del presidente, è facilmente coperto dall’imposta annunciata a danno del Messico. Se teniamo conto delle dimensioni polifemiche del muro, dei costi delle materie prima da impiegare e soprattutto della manodopera necessaria, una delle società di consulenza finanziaria, la Bernstein, ha stimato ben 15 miliardi il costo totale di questa muraglia americana. Anche considerando questa cifra come veritiera, l’amministrazione del presidente Trump, in un anno, avrebbe i fondi necessari per costruire il muro. Certamente alla base di queste stime c’è la stabilità dei rapporti commerciali tra l’America ed il Messico, anche se questo sembra davvero lontano dalla realtà.

Infatti, seguendo basiche regole economiche di mercato, non vi è alcuna ragione per cui le aziende Usa debbano continuare a servirsi dei fornitori al di là del muro, dovendo pagare una sovrattassa del 20% in più. È molto più facile pensare che si rivolgeranno altrove, magari in Paesi dove non ci sia la necessità di aumentare le tasse ed i dazi doganali, per costruire un muro lungo il confine, simbolo della campagna di un Presidente che vuole mantenere le promesse fatte. In termini pratici quindi, tolto il Canada, i commercianti americani vorranno sicuramente guardare in Europa per trovare i nuovi fornitori o in qualunque altra parte del mondo, non penalizzata da una politica ottusa nei confronti di uno stato, che se da una parte crea non pochi problemi agli Stati uniti, ma dall’altra ne contribuisce ad un assetto economico stabile. Ma quali sono gli eventuali cambiamenti per il Messico?
La cifra stimata di esportazioni dal Messico viaggia su un valore di 292 miliardi di dollari di merci e la quota più importante, pari quest’anno all’8,9% del totale, è rappresentata dal petrolio raffinato ovvero l’oro nero. Oltre al petrolio però anche le case automobilistiche potrebbero risentirne, visto che la quota anche qui è molto consistente, 21,8 miliardi di dollari che rappresentano il 7,4% delle esportazioni dal Messico verso gli Stati uniti. Sono anche da citare quasi poco meno di 10 miliardi di dollari in frutta e verdura, in particolare l’industria dei pomodori e dei frutti tropicali, e ben altri 8,4 miliardi di prodotti alimentari di vario genere, a cominciare dalla birra: nel 2016 gli americani hanno bevuto la famosa birra messicana per un valore pari a 2,6 miliardi di dollari.

Tutte queste tipologie di merci, con l’attuazione del piano Trump, finirà verosimilmente per costare il 20% in più alle aziende che la importano nel suolo americano. C’è da domandarsi se in primo luogo manterranno le esportazioni e se il costo di questi prodotti sarà caricato del 20% a discapito dei consumatori americani. Secondo vari quotidiani, tra cui l’americano Usa Today, la seconda ipotesi è la più accreditata. Il giornale infatti cita una dichiarazione del democratico texano Lloyd Doggett, il quale sembra convinto che la tassa d’importazione pensata dalla Casa Bianca non solo ridimensionerà o distruggerà il commercio del Texas con il suo principale partner, ma inciderà sui costi ed i prezzi per i consumatori su molti prodotti. E se questo non bastasse, c’è da capire come reagirà il Messico a questa tassa.

Subito dopo l’annuncio fatto da Trump sulla nuova tassa e la tariffa doganale, il presidente messicano Enrique Pena Nieto ha con un gesto simbolico fatto intendere il suo rammarico, annullando la visita di Stato in America. Sicuramente e reazioni non si limiteranno solo a questo ma ci sarà anche una contromossa in termini commerciali. Una di queste contromosse potrebbe benissimo essere la decisione da parte del Messico di inasprire le tasse sul made in Usa, ed a pagarne il prezzo più alto sarebbe l’industria metalmeccanica, che nel 2015 ha esportato in Messico prodotti per 60 miliardi di dollari. Ovvero più di un quarto del totale dell’export made in USA a sud del muro. Con un equilibrio cosi sottile è facile pensare che la working class americana che in Michigan e Ohio ha voltato le spalle ai democratici di Clinton, per abbracciare il tanto discusso progetto Trump, potrebbe pensare bene di non appoggiare il neo presidente americano aprendo a quel punto, con il discusso punto del muro, profonde crepe nella popolarità e stabilità del neo inquilino della White House, Donald Trump.