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tasse

formiche-tito-boeriEnnesima dichiarazione ‘scomoda’ per Tito Boeri, che questa volta ha puntato il dito sui vitalizi concessi ai parlamentari italiani, rei di essere troppo sostanziosi e alimentati con i soldi dei contribuenti. Il presidente dell’INPS, forte di dati raccolti dell’ultima ora, ha affermato che gli ex parlamentari ricevono una pensione quattro volte maggiore rispetto a quanto spetterebbe loro se venissero considerati solo i contributi realmente versati. La loro pensione ‘lievita’, infatti, a causa dei vitalizi stabiliti dalla legge, che in totale costano 193 milioni di euro all’anno alle casse dello Stato.

Il presidente Boeri ha esposto le cifre durante un’audizione alla camera, dichiarando che i vitalizi vengono pagati con 2600 assegni che superano di 150 milioni di euro la cifra che gli ex parlamentari dovrebbero ricevere in base alla loro situazione contributiva.

Se venissero applicate le norme generali anche a queste persone, quindi se venissero tolti i vitalizi, la spesa si ridurrebbe del 40%. In termini monetari, si tratterebbe di un risparmio di 76 milioni di euro all’anno, quindi di 760 milioni in dieci anni. Si tratta di cifre impressionanti, che potrebbero salire ulteriormente se venisse preso in considerazione il ricalcolo per i 117 parlamentari che hanno una lunga carriera contributiva e che potrebbero vedere incrementata la pensione, ma per ragioni legate al corretto versamento dei contributi.

Pronte sono arrivate le reazioni del mondo politico. Alcune fazioni si sono dichiarate apertamente a favore delle dichiarazioni di Boeri e le sue parole si legano all’operazione Porte Aperte e all’ipotesi di correzione dei vitalizi in previsione dell’affidamento della loro gestione allo stesso istituto di previdenza sociale. A conti fatti, il presidente dell’Inps ha snocciolato un tema molto spinoso, ma che da anni chiede di essere affrontato.

Portando nelle aule romane dati freschi e certi, il presidente dell’Inps ha quindi dimostrato qual è la situazione attuale, ma soprattutto attuato una certa previsione di quale potrebbe essere il risparmio futuro per i contribuenti e anche di quali potrebbero essere i benefici del taglio dei vitalizi sulle azioni di investimento pubblico e sociale nel paese.

tasse casaTra il 2013 e il 2015 gli italiani sarebbero stati chiamati a pagare 7 miliardi di imposte in più rispetto agli anni precedenti. Questo è quanto è emerso dai calcoli effettuati dal Servizio Politiche Territoriali della Uil. Il sindacato ha stimato che si tratta di imposte regionali e di addizionali regionali, fra i quali Tasi, tariffa Rifiuti, imu e comunali Irpef. Nel 2015 l’ammontare totale delle imposte è stato di 49 miliardi di euro, a fronte dei 42 miliardi 2013, mentre nel 2014 le tasse si erano assestate su 46,5 miliardi globali.

I calcoli effettuati dal sindacato hanno dimostrato che una famiglia monoreddito da 24 mila euro all’anno, con una casa di proprietà di 80 metri quadri e una seconda casa o magazzino ereditato, ovvero una situazione abbastanza comune nel nostro paese, si sarebbe trovata a pagare circa 300 euro di imposte in più all’anno, per un totale di 1.969 euro di tributi locali. Ad incidere soprattutto la Tasi, con punte massime nelle grandi città e un esborso medio di 191 euro per cittadino.

L’analisi della UIL ha setacciato le tasse locali pagate dagli italiani nel biennio 2013- 2015 e ha stimato che il gettito derivato dalle imposte Imu e Tasi è stato nel complesso di 19,8 miliardi di euro per gli immobili diversi dalla prima casa e di 3,7 miliardi di euro per quanto riguarda la prima casa. Le addizionali regionali hanno prodotto incassi Irpef per 12,8 miliardi di euro totali facendo registrare un aumento del 11.8 %, e del 11.7% per quanto riguarda l’Irpef comunale. In crescita anche la tassa sui rifiuti, che è salita del 7.3% nel corso degli anni.

Roma si è pizzata in testa alle classifiche delle città più costose per quanto riguarda la tassazione, segnando un esborso medio nel 2015 di 2.726 euro pro capite. Al secondo posto Napoli con 2.576 euro e Torino di 2.458. Secondo i sindacati, a fronte di un bonus di 80 euro che ha permesso di diminuire la pressione fiscale per circa 10 milioni di italiani, per altri 30 milioni le cose non sono andate bene, perché per loro la pressione fiscale è aumentata del 18,5% con ripercussioni sulle buste paga e sulle pensioni.

google-musicE’ stata consegnata in questi giorni la notifica che interessa la chiusura delle indagini a cinque manager attivi e non più operanti nella società Google. Gli uomini sono stati accusati di avere omesso dalle dichiarazioni dei redditi relative agli anni fra il 2009 e il 2013 ben 227 milioni di euro di introiti, ovvero di redditi prodotti in Italia. La conferma del fatto è arrivata dalla Guardia di Finanza di Milano e l’inchiesta è stata condotta dalla procura milanese e coordinata dal pm Francesco Greco.

Da tre anni a questa parte la posizione di Google con il fisco italiano è in regola, ma fino all’anno 2013 la società avrebbe deviato utili sostanziosi alla sua sede fiscale di Dublino, un po’ come hanno fatto e continuano a fare tuttora tante multinazionali statunitensi e non che operano nel vecchio continente. Lo scopo è di ottenere una fiscalizzazione più che dimezzata rispetto a quello che le società andrebbero a pagare nei singoli Stati. Si tratta quindi di notizie risapute, che ora interessano anche cinque manager del gruppo.

Molti sono i precedenti conosciuti, fra i quali tutti possono ricordate il caso Apple. In quel caso venne messa in piedi un’operazione di tenaglia fra Agenzie delle Entrate e Dogana, che imputò attraverso un verbale di contestazione un miliardo di imponibile non versato al nostro paese. Il tutto si risolse con un bonifico di 318 milioni di euro a chiudere la questione, molto meno di quello che sarebbe spettato al fisco italiano, ma un accettabile compromesso in cambio di favori e di un buon vicinato fra Apple e l’Italia.

Come si concluderà la questione giudiziaria dei manager Google? La questione è ai ferri corti, ma ciò che conta è che molto probabilmente le società che operano in Italia potranno pensarci due volte prima di dirottare tutti gli introiti nei paradisi fiscali e decidere di pagare le tasse dovute al paese dove operano e soprattutto generano profitto, con i soldi e gli investimenti dei cittadini italiani.

appleLa partita fra il colosso di Cupertino e il fisco italiano sembra essersi conclusa, in quanto Apple era stata accusata dallo Stato di avere sottratto ingenti somme alle agenzie delle entrate, vendendo i suoi prodotti in tutto il paese, ma fatturando in Irlanda, paese dove le società godono di un’aliquota vicina allo zero. Negli ultimi sette anni di attività, i ricavi del gruppo hanno ‘sulla carta’ superato di poco i 30 milioni di euro, ma nella realtà si tratterebbe di una cifra che arriva a toccare il miliardo di euro complessivo.

Apple, come accade per tante società, non fattura i suoi prodotti come Apple Italia Srl, ma mediante una società di facciata che è accreditata come una semplice consulente e che fa parte della società irlandese Apple Sales International. Si tratta di una struttura che opera stabilmente nel nostro paese, ma che è alle dipendenze fiscali di paesi quali l’Irlanda e gli Stati Uniti.

Il contenzioso ha interessato ben 880 milioni di Ires evasi fra il 2008 e il 2013 e l’indagine condotta dall’agenzia delle entrate ha svelato un trucchetto che era ben conosciuto da tutti, portandolo a livello legislativo. Anche se le vendite vengono realizzate nei vari paesi del mondo, le società schermo di Apple svolgerebbero infatti solo attività di consulenza e ad esse verrebbero riconosciuti dei ricavi pari solo ai costi di gestione, mentre i veri utili andrebbero a finire in Irlanda, dove grazie a degli accordi fra i governi le aliquote fiscali sono prossime allo zero. L’inchiesta ha quindi puntato il dito su questa discrepanza e si è promossa di dimostrare che le società irlandesi sono un vero e proprio terminale per i pagamenti, mentre le vendite vengono di fatto realizzate nel nostro paese e poco c’entra l’attività di pura consulenza.

La consulenza sarebbe infatti una minima parte delle attività svolte dalle società Apple in Italia, che nella realtà lavorano per vendere, seguire il ciclo di acquisto e anche di scontistica dei prodotti in ogni singola fase. Si tratterebbe di una struttura molto ben pensata, che in Italia come nel resto del mondo ha permesso al colosso di Cupertino di evadere sulla carta le tasse e di non portare benessere e ricchezza al paese sebbene sia uno Stato nel quale vende ed opera attivamente.

Le tasse dovranno quindi essere pagate, perché l’inchiesta ha dato ragione al fisco italiano e Apple dovrà quindi versare quanto dovuto all’erario, con felicità dei vertici politici, che sono riusciti a racimolare molte somme da destinare ad altre opere nel corso dell’anno.

Alfano – Ha in mente la ricetta per la ripresa dell’Italia. Oggi, il vicepremier Angelino Alfano, ha parlato con i giornalisti a margine della parata per la festa della Repubblica, rivelando come sia possibile vedere una ripresa del nostro Paese già nel 2013. Zero tasse per gli imprenditori che assumono disoccupati, via l’Imu, nessun aumento dell’Iva e semplificazioni per chi investe: “Se queste azioni funzioneranno noi potremmo avere una bella speranza per la seconda metà del 2013”.

Alfano – assunzioni di giovani senza tasse

Si passa poi a tornare a parlare di un argomenti importantissimo, ovvero il lavoro per i giovani. Negli scorsi giorni è emerso come il 42% dei giovani sia disoccupato: “Noi dobbiamo dare lavoro ai giovani. Chi assumerà questi ragazzi non dovrà pagare quelle tasse che fino ad oggi hanno rappresentato un disincentivo all’assunzione”.

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Questa sera, su Rai3, un nuovo e scoppiettante appuntamento con Ballarò. Giovanni Floris, nel suo studio, tratterà argomenti molto delicati (visto il clima che stiamo vivendo): si parlerà innanzitutto del nuovo governo Letta, delle tasse e delle infinite campagne elettorali che stanno martellando il paese. In studio, il conduttore ospiterà il viceministro all’Economia Stefano Fassina (appartenente al PD), il sindaco uscente di Roma Gianni Alemanno e la controparte, lo sfidante Alfio Marchini della lista “Cambiamo con Roma” e il segretario generale della FIOM Maurizio Landini. Interverranno, poi, anche l’editorialista della “Stampa” Marcello Sorgi, la corrispondente della rete all-news turca “NTV” Seyda Canepa, e il presidente della Ipsos Nando Pagnoncelli. Un intervento molto atteso è quello di Angel Gurria, segretario generale dell’OCSE. L’appuntamento è per questa sera, alle ore 21.05, su Rai 3 con Ballarò e Giovanni Floris.

Dopo una maratona di 80 ore, il Parlamento USA ha approvato il fiscal cliff, un pacchetto di norme emanate per scongiurare il rischio di default del paese. Ieri il Senato lo ha approvato con 89 voti favorevoli e 8 contrari, oggi alla Camera c’è stata un po’ più di incertezza, ma alla fine con 257 si e 167 no la manovra è passata.

Il fiscal cliff aumenta le tasse per i redditi superiori ai 400mila dollari, inoltre aumenta del 5% la tassa di successione per le proprietà dal valore superiore ai 10 milioni di dollari. Se aumentano le tasse per i ricchi, vengono invece mantenuti i benefici per la middle class, che avrà ancora diritto a pagare le aliquote minime sulle tasse e verrà agevolata in caso di disoccupazione o figli a carico. Scongiurati, almeno per il momento, drastici tagli alle spese.

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Ridurre le tasse sul lavoro e parallelamente la spesa pubblica: sono questi i primi obiettivi che Mario Monti indica per sé. E stamane ha commentato anche l’idea di Berlusconi della commissione d’inchiesta sulla nascita del governo tecnico: «Un’idea interessante, stravagante, tardiva. Ma ben venga». E a Bersani: «Dove sto? Io sto con le riforme che rendano l’Italia più competitiva e creino più posti di lavoro. Io scendo in campo non schierandomi pro o contro singoli partiti ma fortemente per difendere determinate idee». Invece, per quanto riguarda le tasse, «servono – spiega – alleggerimenti di situazioni per le famiglie, soprattutto quelle numerose, un sistema sanitario che funzioni ancora meglio e a costi minori e ci stiamo lavorando, e un sistema fiscale che consenta una redistribuzione del reddito dai più ricchi ai più poveri. Per questo il sistema fiscale deve funzionare».