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48_referendumL’attività delle trivelle attive entro le 12 miglia nautiche continuerà fino all’esaurimento dei giacimenti interessati. Questo è il risultato del referendum popolare indetto per il 17 aprile, che ha richiamato alle urne il 32.1% degli aventi diritto al voto, troppo pochi per raggiungere il quorum richiesto dalla legge.

I votanti hanno votato Sì nell’80% dei casi, un dato annunciato, che si rivela però inutile ai fini legislativi. Il premier Matteo Renzi ha commentato a caldo i risultati, affermando che non ha certamente vinto il governo, bensì i lavoratori impegnati nelle piattaforme. Chi ha vinto sono stati loro e il governo nutre il massimo rispetto per tutti coloro che hanno scelto di andare a votare, perché si tratta di un diritto innegabile e che nessuno potrà mai toccare.

A chi, nei scorsi giorni, aveva bollato il referendum di essere un’azione antiRenzi resta quindi un pugno di mosche in mano, un risultato che non si può valutare solo politicamente, perché molti sono i fattori che hanno concorso al non raggiungimento del quorum, anche la bella giornata di ieri e forse la scarsa partecipazione da parte di regioni poco toccate dall’argomento, come quelle dell’entroterra. 14 milioni di votanti sono in ogni caso un successo per il referendum e ci sono regioni, come la Puglia, che hanno deciso di non mollare l’osso e di proseguire nella lotta contro le trivelle.

Un appello a non smettere di lottare è arrivato anche dal Movimento 5 Stelle, che aveva calorosamente invitato gli elettori a votare per l’abolizione delle trivelle. Con un tweet e un comunicato sul blog del movimento è arrivato il ringraziamento agli elettori che hanno deciso di manifestare la loro volontà per un mare pulito e per la ricerca di fonti alternative alle fossili, nel nostro paese così come in tutto il mondo.

3783d53ee620b2901c8eaae3b77cac83Re Jan Carlos di Spagna lascia dopo quasi quarant’anni di regno e abdica a favore del figlio Felipe.

“Ho assunto questo compito perché la nostra diventasse una democrazia moderna, per restituire il potere politico ai suoi legittimi rappresentanti – ha detto il re nel suo discorso ai sudditi-. Guardando indietro non posso non essere orgoglioso e grato nei confronti del mio popolo”. Il monarca ha parlato della necessità di lasciare spazio alla generazione giovane “che merita di andare avanti”, indicando nel figlio Felipe la figura migliore per affrontare le sfide del presente «incarna la stabilità e l’istituzione della monarchia, ha la maturità per regnare e aprire una nuova fase», auspicando il meglio per la Spagna “cui ho dedicato – ha detto – la mia vita”.

 Jan Carlos è stato il simbolo del volto nuovo della Spagna quando ferma il tentato golpe nel 1981, e poi con un referendum nel 1982 quando Madrid aderisce alla Nato e nel 1986 entra nella Comunità Europea, poi Unione Europea.

Il re è all’apice del gradimento per la sua schiettezza nonostante  le numerose gaffe e una crescente fama di play-boy che gli attribuisce più di mille amanti, la stampa lo protegge, poi negli ultimi anni è iniziata una parabola discendente travolto dagli scandali personali e famigliari e, ampliati dalla crisi della bolla immobiliare nel 2008.

Il colpo finale è arrivato con la caduta del re durante una battuta di caccia n Bostwana, insieme all’amante.  Il re e’ obbligato a scusarsi pubblicamente, e  intanto aumentano le richieste di abdicazione a favore del principe Felipe.

L’indice di gradimento continua a scendere , nel gennaio scorso arriva anche l’accusa di malversazione e riciclaggio per la figlia Cristina nell’ambito di uno scandalo di corruzione legato al marito Inaki Urdangarin, è la prima volta nella storia della monarchia spagnola che l’infanta rischi un rinvio a giudizio.

Dopo l’annuncio dell’abdicazione i i partiti di sinistra come Equo o indipendentisti come Erc, Izquierda Unida, sono tornati a chiedere un referendum su monarchia o repubblica e in migliaia sono scesi in piazza  con il partito degli ‘indignados’ manifestare a sostegno del referendum nella centrale Puerta del Sol, a Madrid e in  plaza de Catalunya a Barcellona.

Toccherà a Felipe, discreto e moderato  che gode di consenso altissimo e si è sempre tenuto al di fuori degli scandali, rinnovare  l’ istituzione in senso democratico e popolare conquistandosi la fiducia dei suoi sudditi, vista la disaffezione emersa dalle urne alle ultime europee,e alle tensioni indipendentistiche e sociali.

Il principe delle Asturie, Felipe de Borbón, 46 anni, sposato con la ex giornalista Letizia Ortiz e padre di due figlie,  regnerà con il nome di Felipe VI.

Oggi a Madrid il consiglio dei Ministri straordinario che deve avviare, con una legge ordinaria, il percorso verso la successione, è  previsto che la proclamazione di re Felipe VI avverrà nel Congresso a partire dal 16 giugno, in una sessione solenne delle Cortes riunite.

svizzera00_650x250SVIZZERA, il paese delle meraviglie!

Domenica 18 maggio la Confederazione elvetica è chiamata alle urne per approvare o respingere l’indroduzione della paga minima per ora. Infatti il referendum promosso dai sindacati, propone l’introduzione di un minimo all’ora fissato in 22 franchi, pari a 18 euro ( in Francia sono 9,5 euro e in Germania a 8), equivalente a quasi quattromila franchi al mese = 3250 euro.

L’esito del referendum resta molto incerto, gli ultimi sondaggi al termine di una campagna elettorale molto combattuta, danno i contrari al 64% mentre i favorevoli si attestano al 30% gli indecisi il 6%.

L’Unione sindacale svizzera, i Verdi e i socialisti che hanno proposto il referendum sostengono che quattromila euro al mese non devono scandalizzare perchè “Siamo uno dei paesi più ricchi al mondo”, ma anche il più caro al mondo, non esiste un salario minimo nazionale  e le retribuzioni sono concordate individualmente o collettivamente. I negoziati collettivi avvengono tra le parti sociali per un intero settore o per singole aziende. Ma i padroni non sono per niente d’accordo, sì, i padroni sono furenti, dice  Giancarlo Dillena, direttore del Corriere del Ticino, il più diffuso quotidiano della Svizzera italiana: Dicono che “si rischia di immettere sul mercato una regola che sconvolge equilibri storici. E poi qui in Ticino ci sarebbe qualche problema in più. Intanto perché gli stipendi in media sono più bassi, e si introdurrebbe un minimo uguale per tutta la Confederazione. E poi qui abbiamo sessantamila frontalieri italiani, che avrebbero pure loro diritto ai quattromila franchi. Il rischio, dicono quelli del fronte del no, è che molte imprese, visto l’andazzo, portino la produzione all’estero. Per questo anche alcuni sindacati, come i cristiano-sociali, vanno molto cauti, e non fanno campagna”.  

Sempre domenica gli svizzeri dovranno esprimersi sulla proposta popolare “affinchè i pedofili non lavorino più con i con i fanciulli, e sul referendum contro l’acquisto di 22 aeri da combattimento per l’esercito.