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pil italiano 2014E’ dal 2011 che l’Italia è ferma e non cresce più. E proprio oggi che si riunisce il Consiglio dei Ministri per varare una manovra economica da ben 30 miliardi di euro, l’Istat ha confermato la stagnazione economica in cui il nostro Paese è ormai impantanato da anni, per la precisione dal 2011. Una giornata pessima per i mercati ma non solo. Renzi su Twitter si mostra come sempre ottimista, affermando che dal 2015 l’Italia ripartirà, grazie anche ai 18 miliardi di euro di tasse in meno.

Non sono così ottimisti, invece, i dati pubblicati dall’Istat, che ha rivisto in negativo il Pil italiano in base ai nuovi calcoli: ci sarà un calo dello 0,2% nel secondo trimestre, e il dato tendenziale arriva allo 0,3%. Lo spread è risalito in fretta a 155 punti e oltre, mentre si conferma che il Pil non cresce ormai da tre anni. La crescita, infatti, è sempre stata di segno negativo.

Quindi la ripartenza economica, checché ne dica il nostro Presidente del Consiglio, non sarà poi così immediata. Siamo ancora nel pieno della crisi, e ce lo confermano anche altri dati economici:  cala, delle famiglie, il reddito, il potere d’acquisto e la propensione al risparmio. Nel secondo trimestre il reddito è sceso dell’1,4% rispetto al trimestre precedente e dell’1,1% rispetto al corrispondente periodo del 2013. Gli 80 euro di Renzi, dunque, non hanno per ora sortito gli effetti sperati.

Inoltre, a livello generale, peggiora il rapporto deficit/pil, pari al 3,8%, con un calo di 0,3 punti percentuali rispetto al corrispondente periodo del 2013. L’unica buona notizia, forse, è che la pressione fiscale nei primi sei mesi dell’anno 2014 è effettivamente diminuita: si tratta infatti del 40,7%, in calo di 0,5 punti percentuali su base annua (era precedentemente al 41,2%). La spesa delle famiglie è poi aumentata, anche se di pochissimo: nel secondo trimestre del 2014 è aumentata dello 0,2% nei confronti del trimestre precedente e dello 0,8% su base annua

news_55079_poveriCrollano le speranze i numeri sono drammatici, cifre che certificano la recessione. I segnali c’erano tutti già da qualche giorno, ma adesso l’Istat ha messo nero su bianco il pessimo andamento della nostra economica, una “crescita zero”.

Nella stima preliminare dell’Istat sul Pil del secondo trimestre la flessione è stata pari a -0,2% rispetto al trimestre precedente. Su base annuale la flessione è pari a -0,3%.
Dopo due trimestri consecutivi col segno meno del Pil, l’Italia tecnicamente ritorna in recessione. L’ultimo dato positivo risale al quarto trimestre del 2013 (+0,1%) dopo una striscia ininterrotta di segni meno iniziata nel terzo trimestre 2011. Il livello del Pil nel secondo trimestre del 2014 risulta essere il più basso dal secondo trimestre del 2000, ovvero da 14 anni.

Il calo, sottolinea l’Istat, è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto in tutti e tre i grandi comparti di attività economica: agricoltura, industria e servizi. Dal lato della domanda, il contributo alla variazione trimestrale del Pil della componente nazionale al lordo delle scorte risulta nullo, mentre quello della componente estera netta è negativo.

“Il Pil italiano peggiore delle attese ritarda di nuovo la ripresa e avrà un impatto negativo sulle finanze, ma è troppo presto per fare valutazioni sul deficit”, così il portavoce del commissario Ue all’economia commentando il calo del Pil.

La produzione industriale a giugno torna a salire, in rialzo dello 0,9% rispetto a maggio, quando era risultata in netto calo. Lo rileva l’Istat. Si tratta dell’aumento mensile più forte da gennaio. Il dato è positivo anche su base annua, in crescita dello 0,4%.

L’incremento congiunturale era atteso, ma supera le previsioni di gran parte degli analisti, che si attestavano tra +0,7% e +0,8%. L’Istat parla di “un dato positivo” e “di rimbalzo” a confronto con maggio, che, come “sembrano confermare i dati”, spiega, è stato negativamente influenzato dal ponte di venerdì 2 maggio, innescato dalla festività del primo, seguita dal weekend.

islanda-mutuiIn Islanda lo Stato ha deciso di aiutare i cittadini in difficoltà pagando loro il mutuo. Ecco, la notizia che mentre ci lascia a bocca aperta,  ci riempie anche di “sana” invidia, va data così: in modo diretto e senza fronzoli.

Ovviamente, non c’è nulla di divino. I miracoli, quelli veri, non avvengono mai con lo schiocco delle dita, ma si costruiscono con il tempo e la consapevolezza dei propri diritti. E uno di questi è il diritto a una vita dignitosa. Il popolo islandese ha acquisito da tempo questa consapevolezza. Perciò non ha esitato ad opporsi  ai  banchieri che gli volevano far pagare una crisi di cui non avevano colpa. Come? Decidendo di non pagare di tasca loro il debito estero contratto da politici e banchieri. I cittadini islandesi con questa ribellione  hanno evitato di sottostare a decenni di pesantissima austerity. Davanti a tanta determinazione, il governo non poteva fare altro che stare dalla loro parte. Con grande senso di responsabilità, ha capito che il peso del mutuo sul bilancio familiare era divenuto davvero insostenibile, anche in  considerazione del fatto che in Islanda la stragrande maggioranza dei mutui era stata contratta in valute straniere e, a causa della svalutazione della “Corona islandese”.  E così, è stato deciso di cancellare i mutui ipotecari dei cittadini in difficoltà, un’operazione che riguarda un islandese su quattro. Per questa operazione  il governo ha investito il 13% del PIL nazionale (come se il governo italiano stanziasse circa 250 miliardi di euro).

Una decisione coraggiosa, dunque, forse anche rischiosa ma che di sicuro ha pagato. Se lo stato islandese avesse scelto di pagare il debito seguendo il volere delle istituzioni sovranazionali (BCE, FMI), dell’Inghilterra e dell’Olanda, probabilmente adesso si ritroverebbe nelle stesse condizioni della Grecia.  Per fortuna,  invece, adottando questa misura non solo è stata salvata la casa di migliaia di famiglie, ma è stata data anche una grossa spinta alla ripresa del Paese.