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Il jobs act probabilmente non lascerà i nostri “salotti” sino all’inizio dell’anno nuovo. Ciò che ci ha reso più tranquilli è che nulla toccherà i vecchi contratti, non avendo la norma nessun effetto retroattivo. Non che questo ci debba rendere particolarmente ottimisti perché pensate un po’ alla confusione che regnerà in seno alla magistratura, in caso di giudizi per licenziamento illegittimo.
Sono nulli i licenziamenti, ove il fatto materiale addotto non sussiste e chiaramente quelli discriminatori (ma questa è più una tautologia).
E su questo non c’è più alcun dubbio.
Qualche ulteriore novità che ha destato nuovo interesse da parte dei lavoratori? Il nuovo sussidio. Perché coniare un altro nome per reintrodurre un ammortizzatore sociale che non introduce grosse rivoluzioni in campo, se non delle varianti? Ma su questo non faremo mai luce perché ormai ciò fa parte di abitudini radicate nella nostra politica: tutto deve avere un nuovo nome.
Intanto, facciamo un breve lavoro di sintesi e cerchiamo di capire quali sono le caratteristiche del Naspi (Nuova assicurazione di protezione sociale per l’impiego):
– bisogna dimostrare che lo stato di disoccupazione è involontario. Quindi, la solita routine dei corsi di formazione messi a disposizione dalle regioni (speriamo finanziati o comunque gratuiti) per attestare che ci si sta impegnando a reinserirsi nel lavoro. Sappiamo l’utilità delle agenzie di collocamento pubbliche, ormai superate rispetto all’evoluzione dei mezzi di comunicazione odierni!
– l’aspetto economico. Chiaramente, bisogna che siano stati versati un minimo di contributi per averne diritto. Quindi, assunzione regolare a tutti gli effetti. Purtroppo, in Italia il “lavoro nero” ed irregolare è in gran parte predominante. Ma una buona fetta di occupazione è rappresentata anche dal lavoro atipico, quello senza contratto, le collaborazioni occasionali. Bene,anche in questo caso si può richiedere la Naspi. I contributi a quanto devono ammontare? Non molti per fortuna. Sono sufficienti 13 settimane nell’arco del quadriennio precedente la richiesta. Meno di un mese di lavoro è richiesto nell’anno precedente alla domanda.
– la regressività della Naspi. Man mano che passa il tempo, tale ammortizzatore sociale, e qui sta la differenza rispetto alle misure solitamente adottate, è caratterizzato da importi decrescenti, sino a che bisogna eventualmente richiederne la conferma, decorsi 2 anni dalla perdita del lavoro. Ma ciò non è scontato e non verrà stanziato un nuovo sussidio, nelle vesti della Naspi, perché la durata massima è di 2 anni, sempre però in funzione dei contributi già versati (e si parla di settimane, appunto per includere anche i nuovi lavori a tempo determinato o a progetto)
– Ciò che non convince è che sin da subito comincia a ridursi l’importo della Naspi, ovvero già dopo i primi 5 mesi. Mese per mese, scatta la tagliola del 3% che depaupera non di poco quanto si ha diritto.In ogni caso, si comincia a percepire il 75% del salario corrisposto. Capiamo che i lavoratori atipici o le collaborazioni spesso non percepiscono uno stipendio ma provvigioni sul lavoro. Come si può rendere adeguata la nuova Naspi anche a tali contesti di inserimento lavorativo, la nuova realtà italiana (il lavoro a progetto), se si continua a parlare del classico salario?

Tali nuovi meccanismi non soddisfano del tutto chi è abituato alle vecchie regole della Cassa Integrazione e mobilità né chi vive situazioni diverse da quelle ordinarie, a cui i lavoratori, per lunghe generazioni, sono abituati. E’ tempo di cambiamenti (come dice Renzi: il lavoro fisso non è più la regola) oppure di ritorno al passato?