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capolaratoDodici ore e più di lavoro sui campi, per percepire un salario medio di 35-30 euro al giorno. Questa è la terribile condizione in cui lavorano attualmente 400 mila persone, vessate dal caporalato nel sud Italia. Si tratta nell’80% dei casi di cittadini stranieri e lo studio che ha fotografato la questione è stato reso noto in questo giorni. Si tratta della ricerca condotta da The European House-Ambrosetti, la quale si è basata sui dati del 2015 raccolti da Flai Cgil.

La ricerca è stata presentata al convegno di Assosomm-Associazione italiana delle agenzie per il lavoro con il nome ‘Attiviamo lavoro’ e ha fotografato un’immagine tremenda; i distretti agricoli dove si pratica il caporalato sono circa 80. Di questi, 33 fanno registrare condizioni di lavoro indecenti e 22 sono i siti dove le persone vengono gravemente sfruttate. Si tratta di una condizione che nuoce alle regioni coinvolte, ai lavoratori impegnati, ma anche allo Stato, che perde per questa condizione ben 600 milioni di euro di introito fiscale ogni anno.

E come se non bastasse, alla misera paga che i lavoratori ricevono devono essere sottratti i costi relativi ai trasporti, che ammontano a circa 5 euro e il pagamento dell’acqua e del cibo, l’affitto degli alloggi dove dormire e l’eventuale acquisto dei medicinali. Il 74% dei lavoratori mostra infatti segni di malattia, e le patologie sono per lo più curabili con la somministrazione di antibiotici, ma possono cronicizzarsi a causa della mancanza di medici a cui fare riferimento e di soldi per acquistare le medicine.

A conti fati si tratta di una situazione disastrosa, perché il tutto risulta aggravato dalle condizioni ambientali in cui i lavoratori sono costretti a operare. Nelle aree più disagiate manca infatti l’acqua corrente e il sovraccarico di lavoro è disumano. A riprova di questo lo studio ha stimato che nel corso del 2015 le vittime del caporalato sono state in totale 10.

Pronto è arrivato l’intervento del ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, che era presente al convegno Assosomm. Le sue dichiarazioni si rivelano essere eloquenti, perché il ministro ha dichiarato che si tratta di sfruttamenti intollerabili e che il governo si impegnerà a elevare le misure di contrasto per debellare questo problema. In questa direzione va infatti il disegno di legge contro il caporalato, che è attualmente in via di definizione. Il testo prevede indennizzi per le vittime e un piano di intervento per i lavoratori italiani e stranieri che fino a ora sono stati vessati dal comportamento di pochi.

L’inserimento è previsto anche nei confronti di chi alimenta il caporalato, ovvero le stesse ditte, che verranno sottoposte a multe salatissime e alla confisca dei beni. Il ministro ha quindi invitato la popolazione a collaborare, perché per schiacciare questo fenomeno serve un lavoro di squadra, che veda scendere in campo non solo il governo, ma anche i sindacati e le associazioni di impresa.

Vicino svizzea-kUbD-U10301511347631IbG-428x240@LaStampa.itViene trasmesso in questi giorni in Svizzera sulla tv Rsi e Teleticino uno spot promosso dalla Camera di Commercio del Canton Ticino che dice: “non annaffiate il giardino italiano”. Si tratta di una campagna mediatica contro le delocalizzazioni di imprese.

Il bersaglio sono coloro che vengono soprannominati “padroncini italiani”. Lo spot fa vedere un uomo che dal suo giardino sta annaffiando distrattamente  puntando il getto d’acqua più verso quello del vicino, invece che sul  proprio, ormai secco. “Ogni goccia che cade lontano rende il vostro prato meno verde. Investire nel giardino del vicino può essere pericoloso”, commenta una voce fuori campo, mentre l’uomo viene colpito in faccia da una pallonata. 

Implicitamente viene sottinteso essere un vicino italiano, “investire nel giardino del vicino può essere pericoloso” Da questo mese e fino a ottobre sui canali La1 e La2 della Rsi e sull’emittente Teleticino andrà in onda uno spot che invita i cittadini elvetici a non far lavorare gli artigiani italiani. A non chiamare cioè  giardinieri, piastrellisti, falegnami, imbianchini,  idraulici o muratori comaschi perché altrimenti il proprio prato, ovvero il Ticino, si inaridisce.
Nel mirino dunque non vi sono i frontalieri, ma gli artigiani che dalle province italiane di confine sempre più spesso ottengono commesse da parte di cittadini elvetici, sottraendo lavoro alle ditte svizzere.

Il cantone elvetico ha da tempo dichiarato guerra contro l’invasione di lavoratori italiani, un fenomeno che negli ultimi anni si è intensificato a causa della crisi nel nostro Paese, si arricchisce di un nuovo episodio, infatti questa volta non bastano i manifesti come quelli ” la campagna “Balairatt” dell’Udc, con i frontalieri italiani rappresentati come topi che rubavano il formaggio svizzero, usano addirittura gli spot televisivi patrocinati dalla Camera di Commercio del Canton Ticino.