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CARLO BIFFANI

CAOS-LIBIA-EBOLA-672x350Intervista rilasciata a La Stampa da Carlo Biffani a proposito della grave situazione in Libia che potrebbe avere conseguenze catastrofiche per l’Italia. Biffani è un ex ufficiale della Brigata Paracadutisti, esperto di operazioni di forze speciali, security e intelligence privata, attualmente direttore generale di Security Consulting Group, azienda leader della sicurezza privata, nonché esperto di questioni libiche. L’Italia non si è mai trovata così vicina al “centro della criticità”, ha dichiarato l’esperto, che poi ha lanciato l’allarme sui rischi derivanti dall’immigrazione fuori controllo come Ebola e terrorismo islamico

Libia di nuovo nel caso, un Paese dannato?

«La situazione in Libia è davvero drammatica, e mai sino ad ora, il nostro Paese si era trovato così vicino al “centro della criticità”. Il rischio che corriamo è altissimo sotto diversi profili. Quello dell’approvvigionamento energetico. Quello relativo alla possibilità che elementi del Jihad si infiltrino nel nostro Paese per portare lo scontro con l’occidente ad un livello ancora più alto e per dimostrare al radicalismo islamico mondiale che sono in grado di colpire e “ingaggiare il nemico” direttamente nel cuore della cristianità. Quello che soggetti contaminati da virus di Ebola entrino nel nostro Paese contagiando con una malattia che è impossibile da sconfiggere con i farmaci e della quale si sono ammalati già più di mille soggetti».

Cosa alimenta il caos libico?

«Per quanto riguarda la questione interna, la Libia, altro marchiano errore commesso dalla cosiddetta Coalizione quando la medesima decise di destituire con la forza il Colonnello, non è in grado di uscire da sola da questa tragedia ed anzi, ogni giorno che passa è sempre più vicina al baratro che la farebbe precipitare verso scenari irrecuperabili. Ci rendiamo conto del fatto che per la prima volta, due settimane fa, carri armati e pezzi di artiglieria si sono spostati da Misurata a Tripoli per andare a combattere la battaglia dell’aeroporto della capitale? Questo non è più il susseguirsi di scaramucce combattute a suon di Tecnica e di calibro .30. Qui stiamo assistendo, inermi per altro, ad una guerra fra eserciti. Da un lato il movimento radicale islamico con le sue controllate regionali e nazionali, unito in un abbraccio grottesco ma letale con esponenti del mondo del business libico che si sono visti tagliati fuori dai giri che contano dopo la caduta del governo Gheddafi e dall’altra quel che resta di un esercito schierato sul fronte opposto ai fratelli mussulmani ed ai gruppi islamisti. Tutti sembrano agire motivati dall’unico convincimento del “tanto peggio, tanto meglio” e non si capisce come si possa evitare che il conflitto si estenda a tutto il paese, rendendo impossibile l’esportazione di quel petrolio che per noi è di importanza strategica».

Quali sono i rischi più imminenti?

«Il rischio della possibile infiltrazione di veterani, ci riguarda poi direttamente. Chi ci può garantire che non siano giunti qui da noi, fra i centomila disperati che sono arrivati solo dall’inizio dell’anno, reduci delle battaglie siriane ed egiziane, pronti a fare proselitismo ed a riversare su nuovi combattenti le competenze acquisite in questi anni di guerra? Personalmente, sono piuttosto dubbioso del fatto che si riesca a capire chi davvero stia arrivando, visto che troppo spesso non si riesce neppure a tenerli in un centro di accoglienza per il tempo necessario ad identificarli. Di questa nostra incapacità di controllo e della latitanza vergognosa da parte dei nostri partner europei sul tema del contenimento alla immigrazione clandestina, temo che presto, potremmo essere chiamati a pagare conseguenze drammatiche».

Una nuova azione internazionale, magari più defilata, sarebbe utile?

«Si sente parlare sempre più frequentemente e da più parti riguardo alla necessità di una azione militare a sostegno del governo libico, da promuoversi unilateralmente da parte dell’Italia. Chi ne parla, probabilmente non si rende conto del fatto che non vi è la volontà politica di andare a fare la guerra, perché di questo si tratterebbe, ai gruppi radicali islamici, che non vi sono soldi a sufficienza per mettere in piedi una compagine militare capace di spostare gli equilibri e di dare un contributo sostanziale e non considera che un’azione militare di questo tipo, comporterebbe la possibilità di mettere in conto perdite ingenti fra le nostre fila.»

L’Italia è anche il Paese più esposto in termini di migranti…

«Per muovere in questa direzione ed attrezzarci a difendere i nostri interessi regionali, ci sarebbe bisogno, come alcuni esperti sottolineano da giorni, di riconvertire a scopi bellici la missione Mare Nostrum, di schierare unità da combattimento sul terreno, di lanciare sul campo le nostre aliquote di forze Speciali e di far lavorare in attacco la nostra aviazione militare. Le forze da schierare ci sarebbero, visto che la Brigata Paracadutisti Folgore è stata recentemente esclusa dalla rotazione di turno di impiego in Afghanistan, proprio per renderla disponibile rispetto ad esigenze nello scacchiere mediterraneo, ma l’impiego di soldati in guerra comporta rischi come la morte, che preoccupano i decisori politici molto spaventati dalla impopolarità che ne consegue. Mai come ora, questi passaggi sarebbero giustificati dall’Interesse Superiore, ovvero dalla necessità di riportare ad un livello di gestibilità una crisi che ci minaccia direttamente, ma allo stesso modo, mai come ora siamo apparsi impacciati in termini di difesa dei nostri interessi in ambito internazionale. Mai come ora ci si è preoccupati di aspetti di politica internazionale che poco o pochissimo hanno a che vedere con gli interessi del paese e con il riscontro diretto che i loro effetti avranno sulle famiglie italiane già a partire dal prossimo inverno».

Parlava di rischio Ebola attraverso i canali libici…

«Riguardo ad Ebola, vorrei solo capire come si pensa di fare in modo di controllare la possibile diffusione del virus sul nostro territorio, quando vi sono migliaia di profughi che sbarcano settimanalmente sulle nostre coste e vorrei anche capire come si pensa di valutare ed arginare il possibile ingresso di soggetti contagiati, a fronte della necessità di confrontarsi con un agente patogeno letale che ha tempi di incubazione asintomatica fino a 21 giorni. I clandestini che arrivano sul nostro territorio, dopo 21 giorni, sono nella maggioranza dei casi, già fuggiti dai centri di accoglienza ed in giro per il nostro paese. Se non si riesce a controllare il diffondersi della scabbia ed il ripresentarsi di una malattia come la tubercolosi, cosa possiamo e dobbiamo aspettarci riguardo ad una malattia come Ebola? Capisce l’Europa che il rischio è tanto italiano quanto tedesco o norvegese?»