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Quindi, una certezza c’è. Si potrà licenziare se “il fatto materiale sussiste”. Quasi un ritorno sui passi della Fornero, eppure tanto criticata per tutto ciò che le è addebitato (a partire dagli esodati). La direzione del governo è questa, a prescindere dall’alternanza politica.
Nulla sembra, ormai, cambiare che ci sia la destra o la sinistra, o come si suol dire adesso i moderati, dato che le linee che il governo sta seguendo una sorta di “percorso ad ostacoli”. Il cambiamento di scena è solo una maniera per facilitare lo “scarico di responsabilità” per tutte quelle manovre che hanno il vago aroma dell’impopolare. A cosa serve più votare (chiaramente tale affermazione è errata e fa parte di un pensiero quasi recondito semmai genuino che latita nella mente del malcontento popolare), ormai, si dice qualcuno, contestando come il voto da sempre rappresenti un diritto-dovere per quella democrazia rappresentativa che ormai non ha molto di alternativo. Sempre le stesse conflittualità, sempre le stesse divisioni.La paura, poi, nelle persone tocca un aspetto che caratterizza la nostra beneamata Italia da molti anni: il nepotismo. Se licenziare diventa facile, allora, saranno problemi!
O almeno, questo è un semplice punto di vista.
Ma quali sono i punti su cui si discute per il Jobs Act? Eccoli, in sintesi:
– “Il fatto materiale sussiste”: si attribuisce molta discrezionalità, dato che non si fa espresso richiamo alla legge. Il fatto materiale non è descritto, ad un certo livello di dettaglio, nei codici normativi di riferimento ma deve essere individuato e giustificato, in sede di giudizio, nell’eventualità. Un’azienda dice di essere in ristrettezze economiche? Può licenziare ed il licenziamento è motivato. Il lavoratore deve essere reintegrato solo se il fatto materiale non sussiste e si è in dubbio se introdurre la possibilità che l’azienda proponga al reintegrato un indennizzo, in alternativa
– Per le piccole aziende (con meno di 15 dipendenti) la decisione è stata già presa. Restano in sospeso le questioni sulle aziende di medio-grandi dimensioni. Si ritorna a parlare dell’Aspi (l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria) che deve essere adattata al caso specifico. Presto, forse una nuova Aspi. Si sta cercando ancora di definire in che misura stabilire l’indennizzo che dovrà essere in funzione dell’anzianità lavorativa. Si è incerti se introdurre un lasso minimo dell’indennizzo di 3 mesi o 6 mesi.

Per quale motivo, il tavolo dell’esecutivo è concentrato sulla nuova Aspi (a cui sarebbe possibile accedere anche dopo sole 13 settimane di lavoro?). La paura è quella di complicare ancora di più il contrasto, in sede di giudizio tra lavoratori e datore di lavoro. Sì alla discrezionalità ma non al punto che essa possa diventare una “spina nel fianco” del datore di lavoro, dal momento in cui il lavoratore prima percepirebbe l’indennizzo accordato e poi cercherebbe la strada processuale per ogni più piccolo particolare che può essere contestato al datore di lavoro. Quindi, si vuole dare punto ad un regime chiaro, in cui non si accetta solo l’indennizzo ma anche altri benefici addizionali, di fronte ai quali il lavoratore non può più agire in giudizio. Chiaramente, i sindacati sono pronti a reagire, sul fronte di un cambiamento che è riduttivo se lo si contestualizza solamente all’articolo 18; peraltro la normativa del lavoro è già stata ritoccata anni fa, al punto che lo stesso ha perso la sua “linfa vitale ed ideologica” che l’ha tenuta in piedi sinora, quasi morente.

Ines Carlone